“Comandante di una compagnia arditi reggimentale, in numerosi audaci fatti d’arme, dava continue prove di valore personale e di cosciente sprezzo del pericolo.”
Così inizia la motivazione vergata sul documento con il quale l’allora Ministero della Guerra conferiva a mio zio, Mario Cicognini, la Medaglia d’Oro al valor militare – purtroppo – “alla memoria”.
Di questo zio, che non ho avuto la fortuna di conoscere in vita, mi sembra tuttavia di conoscere tutto poiché fin da bambino ascoltavo i racconti di mio padre, sempre intrisi di grande orgoglio per la figura del proprio fratello, unitamente a un profondo senso di nostalgia per una rapporto familiare così intimo e così bruscamente interrotto dalla morte di Mario sul fronte greco-albanese.
Soprattutto è impressa nella mia memoria la narrazione del momento in cui seppe della scomparsa del fratello, avvenuta quando mio padre stesso si trovava arruolato in marina e dislocato presso la base navale di Leros, in Grecia.
Sempre ho cercato di immedesimarmi nei sentimenti che possono avere attraversato in quella circostanza l’animo di mio padre, ma non credo di esservi mai veramente riuscito.
In ogni caso, rimane vivida la memoria di un figlio, di un fratello, di un combattente che, pur nella morte, ha saputo elevarsi a esempio.
“Esalava l’ultimo respiro sul campo dell’onore al grido fatidico di Patria e Re. Fulgido esempio di eroismo, di consapevole sacrificio e di elette virtù guerriere”. Così termina il documento di attribuzione della Medaglia d’Oro.
Copia di quel documento campeggia oggi su una parete del mio studio professionale e spesso mi sorprendo a osservarlo e a riflettere su quanto quelle vicende appaiano oggi – apparentemente – lontane.
In realtà, proprio la testimonianza di tutti coloro che seppero sopportare il sacrificio della lotta dovrebbe indurci, oggi, a ritornare consapevoli che nulla è dato, nulla è scontato, tutto va guadagnato e difeso.
IL NIPOTE DI MARIO CICOGNINI
Alessandro Pavoni Cicognini